giovedì 10 maggio 2007

COSÌ LA BUROCRAZIA NEGA TUTELA E DIRITTI DEI MINORI di Bruno Marchi

la Repubblica” del 22 marzo 2006

Dopo il caso della piccola Eleonora di Enziteto, la morte di Valentina ad Adelfia evidenzia i guasti di un sistema.

Ad Adelfia un’altra tragedia si consuma e purtroppo non possiamo dire “dopo quella di Enziteto”, perché tra l’una e l’altra tante altre drammatiche vicende si sono dipanate, molte nemmeno denunciate, sotto gli occhi indifferenti di chi è fin troppo intento a curare i propri interessi, di varia natura, e avverte solo un lieve brivido, che poi passa subito, di fronte a notizie simili.

Più o meno inermi assistiamo a noiose tribune politiche che dovrebbero orientare al voto ma che rischiano, piuttosto, di allontanare anche dal democratico e partecipato gesto di apporre un segno su un simbolo. Già, perché i nostri “portaportaioli” discettando di economia, micro o macro che sia, di cunei fiscali e patrimoniali, dimenticano – forse perché mai li hanno conosciuti – i poveri, quelli che patiscono la fame e che vivono nei tuguri, a pochi chilometri dalla sfavillante città.

I poveri, parola viene usata poco e che turba le coscienze. Tutti abbiamo detto, almeno una volta nella vita, che i poveri non sono tali perché, comunque, hanno la macchina lussuosa, il televisore a colori e il telefonino di ultima generazione. Un modo come un altro per coprire con la foglia di fico del perbenismo la vergogna di contribuire alla costruzione di queste miserie, evitando di guardarle negli occhi e preferendo impegnarsi per i bambini africani o brasiliani, magari con un’adozione a distanza, ben lontani dalla vista e dal cuore. Un modo come un altro per difendersi dalla inettitudine cui i servizi sociali dei comuni e dei consultori sono costretti o dal caos imperante di un tribunale per i minorenni che, per questo, assomiglia più ad una vucciria che ad una istituzione deputata a difendere e tutelare i diritti dei minori. I tempi biblici che scorrono in questi corridoi procurano attese di mesi, a volte anni, per un provvedimento che quando arriva magari è superato perché nel frattempo il bambino è cresciuto e, per questo, cambiato. Proprio la giustizia minorile non dovrebbe soffrire della stessa malattia che affligge quella ordinaria. Dovrebbe essere più veloce (non frettolosa), più tempestiva. Invece, accade che le procedure, salvo quelle d’urgenza, allunghino così tanto i tempi da, molto spesso, cronicizzare le situazioni sociali e familiari. Certo tale difficile condizione della giustizia minorile deriva anche dal fatto che i Tribunali per i Minorenni pugliesi pur essendo tre (e non sono pochi), da anni cercano, disperatamente, di arginare l’onda anomala del disagio infantile e adolescenziale.

Come mai proprio in Puglia questa ininterrotta emergenza, perché la situazione sociale è così grave? Due elementi, tra i tanti, preferisco evidenziare. Il primo è di natura culturale e ne facevo cenno all’inizio, cioè la marcata tendenza a nascondere la povertà, a scotomizzarla per negarla. Il secondo riguarda il pesante lascito politico (di democristiana memoria) che riduce l’intervento sociale ad un’elemosina. Non sono pochi i comuni che, ancora oggi, elargiscono ai “poveri” contributi in denaro, alimentando così una visione assitenzialistica spicciola a tutto danno della programmazione e progettazione sociale.

Le storie di “ordinaria povertà”, come questa di Adelfia, se ricostruite, se approfondite ben oltre la cronaca giudiziaria e lo spazio dello scandalo urlato per qualche giorno, probabilmente condurrebbero a situazioni umane che non sono state curate, ma nemmeno diagnosticate, correttamente sin dall’inizio. La soggettività e la sofferenza psichica di chi commette atti simili vengono coperte dalle responsabilità penali individuali che pure ci sono, ma non dovremmo dimenticare le responsabilità politiche di chi non ha saputo evitare quella povertà e ha lasciato che si incancrenisse.

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